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Dott. Andrea Valli

Oculista. Microchirurgia oculare.

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DIAGNOSTICA

Pachimetria corneale ad ultrasuoni

La Pachimetria corneale ad ultrasuoni è un esame essenziale per i pazienti che necessitano di misurare lo spessore della cornea.

Questa importantissima sezione dell’occhio ha la forma di una calotta semisferica trasparente e costituisce la lente più potente dell’apparato visivo; ha infatti la funzione di permettere il passaggio della luce verso le strutture interne dell’occhio, facendo convergere i raggi luminosi verso la fovea.

La cornea viene considerata nella norma se nella sua parte centrale presenta uno spessore di poco superiore a mezzo millimetro; in caso di variazioni da questi parametri si possono ipotizzare patologie oculari anche importanti come il glaucoma, l’edema corneale ed altre malattie della cornea come il cheratocono.

A differenza della pachimetria ottica, questo esame utilizza onde sonore ad alta frequenza per misurare lo spessore della cornea. Non è doloroso o invasivo: al paziente viene instillato un collirio anestetico per evitare qualsiasi sensazione di fastidio, secondariamente il medico appoggia per pochi secondi sulla superficie corneale una sonda, simile ad una piccola penna, che, a seconda della densità e dello spessore della cornea, riflette le onde sonore in modo diverso, permettendo così al software di ricostruire lo spessore di questa zona dell’occhio.

L’esame dura in genere solo pochi minuti e non va ripetuto nel corso della vita, perché lo spessore corneale è un parametro che, salvo nel caso di una patologia come il cheratocono, non tende a modificarsi significativamente.

Test di Schirmer

Bruciore. Sensazione di avere un corpo estraneo nell’occhio. Forte fastidio alla luce (fotofobia) e difficoltà nell’apertura della palpebra al risveglio.

Sono i classici sintomi che evidenziano problematiche a livello di secrezione lacrimale.

La  corretta quantità e qualità di lacrime è essenziale per la salute dell’occhio che, in caso contrario, può incorrere nella cosiddetta “sindrome dell’occhio secco”, una fastidiosa patologia oculare dovuta appunto ad una ridotta produzione lacrimale (ipolacrimia) o ad un’eccessiva evaporazione lacrimale (dislacrimia).

Per quantificare se la quantità di secrezione lacrimale è adeguata, risulta utile il Test di Schirmer.

Questo si esegue posizionando due striscioline millimetrate di carta assorbente nel fornice congiuntivale del paziente; si attende circa 5 minuti e si misura la porzione di strisciolina inumidita dalle lacrime. Al di sotto un certo valore (meno di 10 mm) si definisce l’occhio come secco, per cui è necessario ricorrere ad una terapia sostitutiva.

Il Test di Schirmer è inoltre utile per diagnosticare una disfunzione lacrimale da ridotta produzione causata anche da altre patologie non oculari come il Lupus Eritematoso Sistemico, l’Artrite reumatoide e la Sindrome di Sjogren o per cause iatrogene legate all’assunzione di farmaci.

L’esame non comporta alcun rischio per il paziente e non è doloroso sebbene talvolta, in caso di pazienti particolarmente sensibili, si preferisca instillare un anestetico locale nell’occhio prima di inserire la carta da filtro per evitare la lacrimazione “riflessa”, dovuta all’effetto irritante della carta. L’uso dell’anestetico assicura che venga misurata solo la secrezione “basale” delle lacrime.

Potenziali evocati visivi PEV

I Potenziali Evocati Visivi (PEV) vengono definiti come “le variazioni dei potenziali bio-elettrici della corteccia occipitale evocati da stimoli visivi. Sono quindi la manifestazione di raffinati e complessi eventi neurosensoriali legati a fenomeni di trasduzione e di trasmissione dell’impulso nervoso lungo le vie visive, cioè dai fotorecettori retinici fino alla corteccia cerebrale occipitale”.

L’analisi dei Potenziali evocati visivi (PEV) rappresenta un importante strumento elettrofisiologico per la diagnosi e lo studio di patologie neurologiche a livello del nervo ottico, delle vie ottiche e della corteccia visiva.

L’esame dei PEV consiste nella registrazione degli impulsi elettrici generati dalle strutture nervose che dalla retina si propagano fino all’area visiva del cervello in seguito a stimoli visivi.

Concretamente al paziente vengono applicati sul cuoio capelluto e sulla nuca degli elettrodi, in corrispondenza della regione della corteccia visiva, ossia quella parte del cervello che raccoglie le informazioni visive in arrivo dalla retina.

Gli viene chiesto di porsi di fronte ad un monitor sul quale si alternano dei quadrati a scacchiera bianca e nera e di segnalare le variazioni; la quantità di tempo che intercorre fra lo stimolo visivo e il segnale rilevato dalle apparecchiature in grado di registrare l’attività elettrica del cervello del paziente indica l’integrità del nervo ottico, quindi la capacità di conduzione degli stimoli nervosi.

Pupillometria

Nell’anatomia oculare si definisce pupilla l’orifizio circolare nero situato al centro dell’iride attraverso cui penetra nell’occhio la luce.

La caratteristica delle pupille, che nella norma hanno uguale ampiezza nei due occhi, è quella di dilatarsi o restringersi a seconda delle condizioni di luce: quando infatti si è in presenza di poca luce l’occhio fa fatica a catturarla per cui la pupilla, grazie all’apparato muscolare dell’iride, si allarga per cercare di captarne il più possibile. Quando invece si è in presenza di troppa luce, per evitare un abbagliamento, le pupille si restringono.

Nel caso un paziente debba sottoporsi ad un intervento di chirurgia refrattiva per la cura di miopia, ipermetropia o astigmatismo o vi sia la necessità di rimuovere la cataratta, è fondamentale che esegua prima dell’intervento una pupillometria.

Questo esame, volto a misurare il diametro della pupilla e la sua risposta agli stimoli luminosi, è infatti necessario al chirurgo per valutare l’idoneità della pupilla del paziente al trattamento ed evitare eventuali fastidi post-operatori come gli aloni notturni e i fenomeni di abbagliamento.

La pupillometia si esegue con uno specifico apparecchio chiamato pupillometro, spesso associato ai topografi corneali. Al paziente viene chiesto di sedersi di fronte allo strumento che rileva le misure della pupilla in diverse condizioni di luce.

Del tutto indolore, rapida (circa 20 secondi per occhio) e assolutamente non invasiva, la pupillometia non necessita alcuna preparazione o utilizzo di colliri.

Pachimetria ottica (no contact)

La Pachimetria ottica è un esame oculare volto a determinare lo spessore della cornea il cui valore normale, nella zona centrale, è compreso tra i 520 – 540 micron.

La conoscenza dello spessore corneale è un parametro estremamente utile in casi diversi:

  • per chi utilizza lenti a contatto. In caso di utilizzo prolungato e continuativo di lenti a contatto può infatti verificarsi un anomalo aumento dello spessore della cornea. Le lenti a contatto riducono l’ossigenazione corneale e nel caso in cui tale mancanza sia particolarmente forte le cellule endoteliali, che hanno la funzione di mantenere un certo livello di disidratazione della cornea, non riescono a lavorare adeguatamente. La cornea quindi si idraterà gonfiandosi;
  • prima di ogni intervento di chirurgia refrattiva per la correzione tramite trattamento laser della miopia e di altri deficit della refrazione come l’astigmatismo e l’ipermetropia;
  • per il monitoraggio di patologie corneali come il cheratocono e la valutazione di interventi come il cross-linking;
  • per i pazienti che soffrono di glaucoma in quanto permette di definire l’affidabilità della misurazione della pressione oculare.

Rapida, non dolorosa e non invasiva in quanto non c’è alcun contatto con la superficie oculare, la Pachimetria ottica no contact può essere effettuata da pazienti di qualsiasi età, senza necessità di istillare un collirio anestetico.

Viene eseguita poggiando il mento e la fronte su un’apposita mentoniera e tramite un tomografo ottico (OCT ) il medico oculista  acquisisce in pochi secondi lo spessore corneale di tutta l’area.

 

Topografia corneale altimetrica

Un esame di screening utile a tutti ma assolutamente fondamentale per chi ha una diagnosi di sospetto cheratocono (grave patologia che determina la deformazione della cornea) o per chi deve sottoporsi ad un intervento di chirurgia refrattiva è la Topografia corneale altimetrica.

Questo esame, che consente di misurare la curvatura della superficie della cornea, è infatti un importante indicatore sia per la qualità ottica sia per la salute di questa sezione dell’occhio.

Viene effettuato tramite uno speciale apparecchio detto topografo corneale costituito da un proiettore di un’immagine luminosa, da una fotocamera digitale e da un software di elaborazione delle immagini.

L’esame è rapido, non necessita l’uso di colliri e non provoca dolore o altri fastidi: l’oculista, dopo aver avvicinato lo strumento all’occhio del paziente, esegue uno scatto come per una normale fotografia. L‘apparecchio acquisisce l’immagine della retina del paziente ed elabora una mappa colorata in cui ogni colore corrisponde a una curvatura più o meno accentuata.

Proprio come per la topografia terrestre in cui il blu, che rappresenta il mare, indica la superficie piatta della terra, mentre i rilievi sono indicati dal colore rosso, anche nella topografia corneale i colori freddi corrispondono ai punti più piatti, mentre quelli più caldi a curvature maggiori.

Quando è tutto nella norma la mappa generata dall’esame presenta al centro una sorta di clessidra, che indica la presenza di un astigmatismo fisiologico e che presenta colori più caldi rispetto alla periferia, che invece compare piatta.

Per un efficace svolgimento dell’esame occorre sospendere preventivamente l’uso delle lenti a contatto per alcuni giorni.

Retinografia

Il “fundus” oculare è quell’insieme di strutture interne dell’occhio costituto da:

  • retina e vitreo
  • nervo ottico
  • vasi sanguigni
  • macula (cioè l’area centrale della retina deputata alla visione di precisione)

Si può definire la retinografia come una “fotografia” a colori ad alta definizione di tale “fundus”, in particolare della retina.

Essenziale per le persone che soffrono di diabete, ipertensione e altre patologie sistemiche che richiedono una valutazione periodica delle condizioni della retina, la retinografia si effettua ponendo nell’occhio del paziente un collirio midriatico per dilatare la pupilla.

Grazie ad uno strumento detto retinografo, un particolare apparecchio fotografico collegato ad un biomicroscopio, al paziente viene realizzata una fotografia che mette in luce eventuali occlusioni venose o arteriose retiniche ed altre problematiche vascolari a livello della retina che possono essere il segnale di patologie anche gravi quali :

  • le distrofie e maculopatie,
  • la retinopatia diabetica,
  • la retinopatia da anemia falciforme,
  • lesioni coroideali.

L’acquisizione dell’immagine retinica è molto rapida e del tutto indolore; è dunque buna norma, specie se si sospetta di soffrire di una delle patologie sopra elencate, sottoporsi con regolarità all’esame.

Tomografia coerenza ottica O.C.T.

La Tomografia ottica computerizzata (OCT), o Tomografia ottica a radiazione coerente, è un esame diagnostico non invasivo che permette di ottenere delle scansioni corneali e retiniche molto precise, in grado di analizzare nel dettaglio gli strati della cornea, della regione centrale della retina denominata macula e del nervo ottico.

Fondamentale per la diagnosi e il monitoraggio di numerose malattie della cornea e della retina come ad esempio la degenerazione maculare senile, la retinopatia diabetica ed il glaucoma, l’OCT è un esame estremamente utile nella diagnosi preoperatoria e nel follow-up postoperatorio della gran parte delle patologie oculari che necessitano di un intervento chirurgico.

Basata sull’interferometria a luce bianca o a bassa coerenza (un fascio laser privo di radiazioni nocive che viene impiegato per analizzare le strutture oculari soprattutto retiniche e corneali mediante sezioni ad alta risoluzione), questa metodica avanzata è inoltre molto utile nei casi di edema maculare di varia origine. Trattandosi di un esame digitalizzato consente inoltre di mettere a confronto gli esami eseguiti nel tempo dal paziente, fornendo delle mappe differenziali.

La tomografia ottica computerizzata (OCT) è in grado di misurare lo spessore delle fibre nervose che circondano il nervo ottico evidenziando, in alcuni casi, un’alterazione precoce delle stesse in presenza di un campo visivo normale permettendo di iniziare tempestivamente una terapia per rallentare la progressione della patologia.

Non è dolorosa e non è pericolosa; è un esame non invasivo, non a contatto, innocuo. L’esecuzione è semplice e dura circa 10-15 minuti per occhio. Il paziente è seduto di fronte all’apparecchiatura ed è invitato dall’operatore a fissare un segno luminoso: la scansione parte nel momento in cui viene messa a fuoco la struttura oculare da analizzare.

Con l’avvento degli strumenti OCT di ultima generazione l’esame può essere effettuato anche senza la dilatazione della pupilla, previa valutazione da parte dell’operatore medico sanitario, delle caratteristiche oculari e del tipo di patologia che si vuole indagare.

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